Benvenuti, carissimi e carissime, in questo settimo episodio della rubrica “Pixel e neuroni”, in collaborazione con Laborplay e BardellaPsicologia.
Come abbiamo già detto in precedenza, per tutta la durata del nostro viaggio virtuale, andremo a scoprire insieme l’importanza dei videogiochi per l’apprendimento di abilità cardinali utili alla vita di ogni giorno. Oggi parleremo di The Long Dark (TLD), opera che ha visto la luce nel lontano 2014 in versione alfa, per poi essere rilasciata ufficialmente nel 2017.
Il gioco è un survival, ossia una tipologia di videogame dove il giocatore deve cercare di sopravvivere a tutti i costi agli ostacoli ambientali presenti. Nel caso specifico, in TLD sarà necessario far fronte ai rischi e ai pericoli che si possono trovare nelle sconfinate terre selvagge di Great Bear Island, che ricordano molto l’Alaska.
La premessa è molto semplice: lo sfortunato avatar che andremo a interpretare precipita con il suo aereo sull’isola in seguito a una tempesta geomagnetica; sperduto e solo, dovrà cercare di sopravvivere il più a lungo possibile. Tale incipit serve per introdurre un altro concetto cardinale della struttura del gioco, ossia la componente sandbox. Con questo termine si intende letteralmente un “parco giochi a tema”, dove il giocatore può costruire da sé la sua avventura sfruttando tutti gli strumenti che gli sono stati messi a disposizione per vivere un’esperienza unica e personalizzata.
Giocando a un videogame di questo tipo quali soft skill o life skill possiamo allenare? Per fortuna nella nostra società non abbiamo bisogno né di sopravvivere ad attacchi di animali feroci né evitare di morire assiderati. La risposta è la seguente: in The Long Dark, se non si pianificano le proprie azioni, si è destinati a perdere inevitabilmente. C’è da aggiungere un altro punto fondamentale: fatta eccezione per la modalità “storia” che presenta dei checkpoint, nella modalità “survival” o “sfida” se si dovesse perire durante una qualsiasi fase di gioco i nostri salvataggi andranno automaticamente cancellati e saremo costretti a ricominciare tutto da capo.
Per quanto possa sembrare terribile, e in parte ricorda molto alcune dinamiche viste in Dark Souls, il vero cuore dell’esperienza sta proprio nell’inevitabilità delle conseguenze delle nostre azioni. Tutto questo serve a rendere le nostre scelte veramente impattanti sul mondo di gioco, definendoci come gli unici responsabili dei nostri successi o dei nostri fallimenti.
Una cosa è certa, la prima volta che si decide di affrontare una bufera di neve mal equipaggiati è spesso anche l’unica: o si muore assiderati o ci si salva per il rotto della cuffia. In entrambi i casi la lezione verrà imparata. MAI, ripeto MAI affrontare una tempesta di neve se non si ha in mente un piano ben preciso, perché TLD non avrà pietà dei salvataggi e delle ore spese a girovagare per Great Bear Island accumulando risorse. Basta una decisione sbagliata e il game over sarà definitivo, almeno per quell’avatar.
Se siete almeno un po’ incuriositi, vi invito a leggere il resto dell’articolo e a farvi una bella tazza di caffè bollente: stiamo per farci un viaggio nelle bianche distese innevate di Great Bear Island, senza la possibilità di tornare indietro.
per provare l’interactive game di Laborplay
The quiet apocalypse
Quando nel lontano 2014 l’Hinterland Studio pubblicò per la prima volta TLD sullo Steam Greelight, ebbe un successo… passabile. Il gioco era in alfa, completamente diverso da come lo possiamo sperimentare oggi, sia per comparto grafico che per gameplay stesso. Però, in quel lontano 2014, consapevoli o inconsapevoli, avevano rilasciato un prodotto che cercava di differenziarsi completamente dai suoi competitors. Niente mostri mutanti, zombie o altri giocatori pronti a farci la pelle, no. Il loro intento fu quello di rilasciare una simulazione esperienziale quanto più veritiera possibile. Il giocatore sarebbe stato da solo, abbandonato a se stesso e costretto a sopravvivere usando le poche risorse rimaste sull’isola. A fargli compagnia, solo ed esclusivamente animali selvatici come conigli, alci, lupi, orsi o cervi. La parte più accattivante dell’esperienza è proprio quella legata all’assenza di altre persone con le quali interagire. Immaginare di essere gli ultimi esseri umani rimasti sulla faccia della Terra è un’esperienza già di per sé angosciante; pensare di dover frugare tra i corpi congelati, alla ricerca di qualsiasi cosa possa aumentare le nostre chance di sopravvivenza, mentre magari si sfugge a un branco di lupi affamati, esaspera ancora di più quel sentimento.
La “tranquilla apocalisse”, come l’hanno definita gli stessi sviluppatori, può non vantare tutta la creatività di altri titoli, dove si possono creare armi fantasiose per affrontare mostri terribili, ma risulta di gran lunga di maggior impatto rispetto ad altre ambientazioni, per due motivi fondamentali: il primo è il realismo dell’evento, sicuramente più verosimile di un’apocalisse di zombie, e il secondo è la sensazione di impotenza data dalla simulazione, che mette in luce tutte le nostre fragilità di esseri umani.
Da tutto questo sconforto impresso in pixel e stringhe di codice, ne esce un’esperienza che vale la pena di essere vissuta, anche solo una volta, per renderci conto di quanto sia stato inserito nel non-detto del gioco e nella sua narrativa ambientale. Scalare una corda per raggiungere i resti di una centrale idrica abbandonata, nella falsa speranza che qualcuno sia sopravvissuto o vi siano scorte alimentari, concede al giocatore delle emozioni e delle sensazioni che di rado si possono trovare in questa tipologia di videogiochi, molto più legata a una gestione corretta della risorse per accedere più rapidamente ai contenuti avanzati. TLD non contempla una fase finale di gioco, ma solo un momento in cui il giocatore ha acquisito abbastanza strumenti per poter smettere di sopravvivere e iniziare a vivere veramente, riconquistando la sua posizione privilegiata nella catena alimentare.
La scala dei bisogni di Mackenzie
Nel 1943, con l’opera “teoria della motivazione umana”, Abraham Maslow rese nota al pubblico la sua scoperta più grande, quella per cui egli è ancora oggi ricordato e studiato a scuola e nelle università: la Scala dei bisogni o Piramide di Maslow. Così come, per lo psicologo americano, esistono vari livelli di complessità motivazionale che non possono prescindere gli uni dagli altri, anche nell’esperienza di gioco è presente una gerarchia di bisogni ai quali è indispensabile fare riferimento. Nella parte più bassa della piramide troviamo i bisogni fisiologici, ossia tutte quelle necessità basilari alle quali non è possibile sottrarsi, come il cibarsi o il proteggersi dalle intemperie. Lo stesso vale per il videogioco. Una volta avviata la prima partita e deciso che tipo di sandbox vogliamo affrontare (regolabile in base alle necessità del giocatore e potenzialmente molto più accessibile anche per i meno esperti) una delle prime azioni che ci verrà istintiva fare sarà quella di cercare cibo e abiti adatti al rigido clima invernale che tormenta Great Bear. Non sarà raro partire con abiti logori, poco forniti di cibo nel nostro inventario o addirittura posizionati molto lontani da qualsiasi insediamento umano. Sulla base degli studi dello psicologo americano, anche noi ci muoveremo verso un obiettivo preciso: trovare oggetti sempre più consoni per poter sopravvivere al meglio. Questa ricerca non si esaurirà nel breve periodo, tuttavia una volta acquisiti i primi abiti pesanti e qualche barretta alle nocciole la situazione inizierà a essere già meno disperata.
Ecco, sin da subito, siamo istintivamente portati a esaudire un bisogno fisiologico come se la richiesta venisse da dentro di noi e non fosse esterna; in questo, l’esperienza simulata ci aiuta molto a empatizzare con il nostro sfortunato avatar (che nella storia principale ha il nome di Mackenzie nel caso del protagonista maschile) cercando quanto di più immediato ci possa aiutare a soddisfare le sue necessità.
Il gioco ci tende una prima trappola, sfruttando un nostro automatismo, quello della risposta immediata. Se ho fame cerco cibo, se sono disperatamente affamato posso mangiare qualsiasi cosa, comprese delle razioni stantie o dei crackers avariati: quale sarà però il prezzo di tale scelta? Forse nessuno, forse un’intossicazione alimentare. Non vi è certezza, ma solo scelte che devono essere compiute al momento giusto. Quello che gli sviluppatori ci spingono a compiere è una corretta pianificazione del percorso di gioco, in modo da evitare di doverci assumere dei rischi troppo grandi in situazioni disperate. Non è mai un’intossicazione alimentare a metterci fuori gioco, ma se a quella condizione sommiamo l’attacco di un lupo selvaggio che ci lascia sanguinanti e aperti alla possibilità di contrarre una seconda infezione, le chance di sopravvivenza si abbassano drasticamente.
La pianificazione durante le sessioni di gioco deve sempre tenere conto dei bisogni principali del giocatore, che corrispondono alla base della Piramide di Maslow, e deve evolvere allo stesso modo in cui tale schema cresce. I parametri da tenere sotto controllo saranno: fame, sete, sonno e temperatura corporea, oltre a una simil barra della salute che esprime la condizione fisica del personaggio e che si abbasserà qualora venisse ferito o esposto a temperature troppo basse.
La seconda necessità (bisogno di sicurezza) è quella di potersi proteggere; nella mappa di gioco, divisa in regioni, sarà possibile trovare armi come la rivoltella o il fucile da caccia, ma anche razzi segnalatori e bengala, molto utili per spaventare i predatori. Solo allora, ci potremmo sentire capaci di avvicinarci a una dimensione di gioco più rilassata, godibile. Il modo intelligente in cui sono state inserite le altre necessità fondamentali è molto interessante: se per Maslow, appartenenza, stima e realizzazione personale sono gli ultimi tre gradini da scalare, al fine di sentirsi un essere umano pienamente evoluto, in TLD queste necessità diventano quasi metagioco. Sull’isola non è rimasta anima viva oltre al nostro avatar e questo impedisce di allacciare rapporti affettivi o riunirsi socialmente. Tuttavia, sono presenti libri, e si possono compiere attività per evitare che la noia e il tedio prendano piede e demoralizzIno il nostro protagonista. Il vero aspetto rivoluzionario che tocca le vette del metagioco è il concetto di divertimento unito al senso di competenza percepito. Smettere di sopravvivere e iniziare a vivere nel gioco è possibile solo dopo molte ore di sperimentazioni, fallimenti e successi risicati. In quel preciso istante di consapevolezza, non sarà il nostro avatar ma saremo noi, in qualità di giocatori, a renderci conto di quanto abili siamo diventati nel determinare quale tipo di viaggio vogliamo intraprendere, quanto facile o difficile esso sia, mettendoci alla prova con nuove sfide.
Per l’essere umano giungere alla vetta della propria esistenza è complesso e richiede di affrontare alcune necessità specifiche, ossia quelle identificate da Maslow: ecco perché The Long Dark è l’esperienza in assoluto che meglio ricalca l’idea della realizzazione dei propri intenti all’interno di un gioco.
Si diventa bravi, capaci e consapevoli solo dopo molto tempo, ma la sensazione finale è paragonabile a un percorso di crescita interiore, dove l’ansia e la paura, onnipresenti nelle fasi iniziali di gioco e per i meno esperti, lasciano spazio al senso d’avventura, a una percezione di autoefficacia molto più matura.
Pianificare il proprio viaggio e prioritizzare gli obiettivi sono l’essenza stessa di questa esperienza filosofica. The Long Dark lascia spazio alla riflessione, alle domande esistenziali, proprio perché il giocatore non è costantemente bombardato da stimoli visivi o dopaminergici, ma dalle sue stesse idee. La vera ricompensa è quella che si ottiene quando, dopo aver programmato un viaggio tra le varie regioni della mappa, si riesce ad avere successo giungendo sani e salvi alla meta prestabilita. E su questo va fatto presente che nessun indicatore festeggerà la nostra riuscita, poiché tutto sarà frutto delle nostre idee e delle nostre decisioni.
È probabile che, inizialmente, una sfida possa essere quella di passare da una casa all’altra, facendo solo pochi passi. A questa micro-sfida si andranno ad aggiungere sempre più elementi di complessità, come zampettare tra le case mentre un branco di lupi transita per la regione, fino ad arrivare a veri e propri pellegrinaggi con una rotta prestabilita, scegliendo dei punti dove potersi fermare per le emergenze o dove poter recuperare le forze qualora fosse necessario.
Niente sarà gustoso come vincere una sfida dove la difficoltà sarà determinata dal nostro coraggio.
Armatevi di grande volontà se volete partire per questo viaggio fantastico, ricco di avventure mai raccontate, luoghi magici e pericoli atroci. Pianificate, agite, scegliete: solo in quel caso potrete dire di aver giocato veramente a The long Dark.
Bibliografia: