Lutto e videogames

Il lutto è una delle esperienze fondamentali nella vita. Viverlo svuota di senso l’esistenza e al tempo stesso la riempie. Senza la morte nessuna scelta avrebbe valore, come ci ricorda Heidegger. È una decisione necessaria, non possiamo non compierla. Nasciamo con la consapevolezza di avere un limite, di non poter fare tutto e quindi di dover scegliere con autenticità tra gli aut-aut che ci si presentano dinanzi. Questo confronto con la morte sta alla base dell’angoscia esistenziale: non avere un’eternità che ci consenta di abbracciare ogni progetto e addirittura di poter scegliere male senza avere tempo sufficiente per rimediare all’errore. Ecco perché gli esseri umani rifuggono l’idea di morire, per evitare la responsabilità di decidere del proprio poco tempo. 

Eppure la coscienza della morte, nostra e altrui, ha un’importanza fondamentale. Ci consegna la responsabilità di non perdere tempo: solo così il nostro limite e quello con gli altri assumono un valore autenticamente scelto e voluto. La morte, la sua anticipazione, riempie di senso la vita. D’altro canto, è pur vero che quando avviene un decesso inevitabilmente cadiamo nel nichilismo, in una crisi da cui spesso non è facile uscire. Poeti, filosofi, terapeuti, ma anche videogame si sono occupati di questo tema, proponendo modi per uscire da questa situazione limite di vuoto con una rinnovata stenìa e pienezza di senso. Sì, perché la morte è per chiunque un autentico paradosso di svuotamento e di riempimento di essere, una contraddizione che si può vincere solo facendo della caduta un passo di danza.

Come psicologi e filosofi spiegano il lutto

Gli esseri umani cercano in ogni modo di rimuovere il fatto che la morte capiti davvero a loro, continuando a vivere il generico e astratto “si muore”. La rimozione serve per preservarci dal side effect dell’anticipazione del morire: l’esperienza del Nulla. 

Insomma, la morte è universale, è quell’esperienza che più di ogni altra è stata ed è temuta. I filosofi, specialmente nell’Ellenismo, hanno cercato di alleviare il terrore che essa procurava con tecniche spirituali di anticipazione, come facevano gli stoici o con un farmaco intellettuale in cui Epicuro raccomandava di non temere qualcosa che non può riguardarci. Quando c’è la morte non ci siamo noi e viceversa. 

Il dolore che segue una perdita è un’esperienza caratterizzata da fasi quali la negazione, la rabbia, la negoziazione, la depressione e l’accettazione. Secondo Freud il lutto non riguarda solo la morte, ma ha a che fare con l’esperienza della perdita in senso lato: perdita della giovinezza, dell’amore, di un affetto, del lavoro… Insomma, moriamo tantissime volte. Per Freud, il lutto è un vero e proprio sconvolgimento emotivo. Se non viene correttamente affrontato, può creare “aree di paralisi” nel Sé, che priveranno di senso la vita. Jung propone un approccio più vicino alla filosofia. La vita per lui è un ciclo di vita e di morte, cioè un panta rei, un flusso diveniente che prevede continui passaggi tra l’essere e il non essere. L’elaborazione del lutto è la comprensione filosofica del suo legame con la vita. E’ come biasimare il fatto di calpestare i nostri stessi piedi; anche chi vola prima o poi si appoggia. Fa parte dell’esistere sacrificare costantemente qualcosa per poter andare avanti. Il cambiamento è il confronto tra ciò che non è più o non è ancora. Quella negazione è il fondamento del procedere, della coscienza e dell’esistere di qualcosa.

La teoria dell’attaccamento sostiene che il lutto è un’esperienza di separazione dall’oggetto di attaccamento ed è quindi un’esperienza connessa al legame affettivo che si è formato con la persona deceduta. Secondo Bowlby il fine di un comportamento di attaccamento è mantenere un legame affettivo che dia sicurezza all’individuo; maggiore è il pericolo della perdita, più intensa sarà l’azione per impedirla, al fine di preservare l’attaccamento. Nei processi del lutto la perdita della figura di attaccamento può portare ad una compromissione della funzione di stabilire ulteriori legami, così come il tipo di attaccamento, generalmente con la madre, è il modello operativo per tutte le successive relazioni nell’adultità. Nella teoria del processo duale viene affermato che il lutto è un processo duplice che coinvolge la gestione del dolore e la ricostruzione della vita senza la persona deceduta, ricostruzione che prevede sempre fasi, successi e insuccessi. In caso di lutto non elaborato, esso può diventare complicato se il dolore persiste per un periodo prolungato e se la persona ha difficoltà a funzionare nella vita quotidiana, sperimentando esperienze da stress post-traumatico.

L’elaborazione del lutto può richiedere la ricerca di nuovi punti di vista e l’allenamento delle capacità di amare o di avere fiducia. Anche la catarsi e il dividere con altri l’esperienza ci fa sentire meno soli, contribuendo a una risposta positiva in grado di farci superare la crisi. Ecco perché da sempre si scrive e si legge di morte: per con-vivere con questo universale. Le stesse religioni rispondono al bisogno comune di avere risposte sul perché della fine: spesso la domanda che ci attanaglia riguarda proprio il senso della morte, perché vivere se prima o poi bisogna affrontare la perdita. 

Come i videogames spiegano il lutto

Ci sono tanti videogame che trattano questo tema così fondamentale. Come è dimostrato, partecipare attivamente a trame emozionali, consente di allenare l’empatia, così come videogiocare aiuta a uscire da disturbi da stress post-traumatico, sentendosi di nuovo efficaci. Di seguito cito alcuni titoli in cui è trattata l’esperienza del lutto.

That Dragon, Cancer

“That Dragon, Cancer” è un videogioco su una di quelle morti difficili da accettare. Tratta la storia di un bambino di nome Joel e della sua lotta con il cancro, un drago che lo ha colpito da quando aveva un anno, prima di imparare a parlare e quindi di ricordare un’esistenza senza malattia. Nel gioco vengono esplorate le emozioni della famiglia e l’accettazione di una sopravvivenza del proprio bambino. Il videogame è autobiografico: gli sviluppatori, dopo la morte del figlio a soli cinque anni, hanno deciso di trasformare il loro dolore in un’avventura grafica. E’ il principio freudiano della sublimazione.

Audio, fotografie nell’ospedale psichiatrico, una grafica poligonale, volutamente distante, priva di volti, concorrono a creare nel giocatore quel senso di straniamento che solo il cancro può generare, nella persona e nella famiglia

La camera si alterna tra una visuale in prima e una in terza persona, sfumando tra i ruoli che di volta in volta si ricoprono: il bimbo, il genitore, una paperella… Nel videogame il peggioramento emotivo e fisico di Joel è evidente: un’incapacità a parlare dovuta alla malattia che gli ha causato un ritardo non ha comunque bloccato la sua comunicabilità. Questo videogame, con la sua trama e un game play ben lontano dai platform a cui siamo abituati, ci mostra quanto il medium videoludico sia cambiato e sia distante dalle definizioni grossolane del senso comune. E’ poesia, letteratura, psicoterapia, sfiorando temi di difficile trattazione e in modi multi-sensoriali, così da toccare le corde più intime della mente, la conoscenza implicita dei soggetti e indurre un cambiamento in chi gioca. 

Come dice un articolo del Guardian “le interazioni complesse non sono necessarie, anzi sarebbero un danno, perché l’obiettivo è la sensazione di abitare uno spazio. Quando si cammina avanti e indietro per una stanza d’ospedale, ascoltando un bambino che piange per il dolore, ci si sente terribilmente limitati. Ed è questo il punto”. Insomma, l’impotenza, la non azione, non è un limite del videogame, ma è l’effetto voluto per dimostrare il senso della perdita e dell’esperienza di questa famiglia. E’ un videogame d’autore, un esempio di contro-gaming, in cui le dinamiche classiche di challenge, riflessi, obiettivi netti, vengono meno per lasciare spazio all’inazione, al non sapere cosa fare, a una grafica volutamente minimale, a suoni, immagini, audio originali nell’ospedale e a una passività difficile da concepire dentro a videogioco. Si tratta di una pausa, una sospensione dal fare che lascia modo di riflettere sulla vita, sulla morte: la noia, come breccia all’esistenziale.

A Mortician’s Tale

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A Mortician’s Tale è un vidoegame davvero particolare. Vestiamo i panni di una impresaria di pompe funebri alle prese con mail, funerali, morti, familiari. 

Un videogame gestionale sulle pompe funebri? A che pro? Per normalizzare la morte, uscendo da superstizioni. Max Weber lo diceva, il fine a cui si sta andando incontro è eliminare la magia dalle magie sociali. Al posto delle spiegazioni religiose, fondate su valori e carisma, prende il posto la burocrazia. Ecco quindi che mostrare gli aspetti imprenditoriali, al di là del mistero della morte, riporta concretezza e universalità su questo tema. La magia vs il ragionamento per mezzi-fini, pragmatico, tutto occidentale che concerne la preparazione del defunto, cremazione, ibernazione, tumulazione, scelte inevitabili. Certo, razionalizzazione non significa freddezza e privazione del tatto. In questo gioco si deve trattare con le emozioni, con le reazioni, altrettanto normali, dei parenti. E’ un modo allora per vivere con distacco la perdita, per analizzarla dall’esterno, a partire dal ruolo di un’impresaria di pompe funebri. La morte è normale. Riguarda tutti. Riguarda tutti pensare anche a certe questioni testamentarie, la scelta del tipo di addio, religioso o ateo che sia. Pensarci, anticipare tutto ciò è prepararsi e non farsi travolgere dalla negazione. Ecco perché questo gioco è un valido sostegno, prima e durante un lutto. Ridà positività alla morte, come fatto inevitabile, in modo razionale ma mai anaffettivo.

Spiritfarer

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In questo gioco, i giocatori assumono il controllo di un personaggio che fa da traghettatore per le anime dei morti. Il gioco esplora la morte, il lutto e la celebrazione della vita in un modo davvero delizioso e toccante. 

La morte è parte dei giochi quasi sempre. Già i primi videogame vincere o perdere prevedevano fasi di perdita di vita o di uccisione di nemici. Superare prove in-game significa procurare morte o rischiare la propria sopravvivenza. Tuttavia questo fatto resta quasi sempre implicito. Non ci porta a riflettere esistenzialmente sul senso del lutto. Al contrario in Spiritfarer è centrale proprio il significato della perdita. 

I titoli si aprono con una serie di nomi, persone che non ci sono più, nate negli anni trenta. Dall’inizio allora è chiaro di cosa si tratta questo videogame 2D gestionale e al contempo metroidvania: dell’addio. In realtà non è solo un videogame sulla fine. Come abbiamo già detto a proposito di Jung, ma se vogliamo di gran parte della filosofia greca, non c’è morte senza vita. Non si può concepire un polo senza l’altro. E’ quell’insight nietzscheano a proposito del dionisiaco: trionfo della vita perché non si negano dolore e morte. In Spiritfarer viene eliminato il combattimento, le classiche dinamiche del gamplay, lasciando spazio alla vita, al creare legami, all’amicizia prima della fine. L’attaccamento, si diceva, è parte essenziale della perdita. Non saper elaborare il distacco può compromettere i legami futuri. In questo gioco si vede in pieno tutto ciò. Non c’è addio senza prima aver costruito legami; dirò di più, non c’è elaborazione della perdita se quel legame non è stato costruito in modo positivo e sereno. Tutto dipende dalla vita, insomma.

La grafica è ispirata al pittore giapponese Hiroshi Yoshida, con le sue limpide atmosfere in stile ukiyo-e, per dare al tutto un’aria davvero rilassante e coinvolgente. Spesso vale solo la pensata, come un cozy game, stare lì e godersi il panorama. L’action-platform si combina alla gestione stile Animal-Crossing di una nave per traghettare le anime dei defunti, in versione animali, e di esplorare una mappa in espansione, tra isole e villaggi. Gli spiriti ci chiederanno di eseguire dei compiti, per non avere insoluti, prima di essere pronti, finalmente, di lasciare il Regno dei vivi. Le recensioni di questo videogame sono molto positive, grazie alla sua unicità di trama e generi. Gli spiriti potranno domandarci di costruire per loro abitazioni, di esplorare certe zone, di parlare con amici. Via via che si procede si potranno apprendere conoscenze, che serviranno per migliorare l’attrezzatura e la gestione della nave. Ogni spirito ha una storia da scoprire, senza mai cadere nel patetico, cosa a cui si rischia di andare in contro quando si approccia un gioco sulla morte. Ogni personaggio, al contrario, arricchisce la trama di mille sotto-trame

Alla fine il legame che si crea con questi spiriti ci renderà difficoltoso salutarli. E’ insomma un play within the play: la trama riguarda l’addio e inscena la difficoltà di performarlo, proprio per l’attaccamento che si crea con i personaggi.

Voi avete in mente altri titoli che trattano l’esperienza del lutto? O videogame in cui sia stato difficile salutare qualche personaggio per sempre? 

Scopri come i videogame possono aiutare ad affrontare situazioni di vita quotidiana

di Lorenza Saettone, filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons e redattrice del team Video Game Therapy®

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