I videogames come trainer

Per un apprendimento sociale ed emotivo

L’articolo che proponiamo quest’oggi, ovvero un approfondimento sui videogames come trainer per l’apprendimento sociale ed emotivo, merita una premessa sulla sua autrice, Lorenza Saettone, redattrice del team Video Game Therapy® che collabora attivamente con il team Laborplay. Filosofa specializzata in epistemologia e cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons, è altamente qualificata in filosofia, educazione, tecnologia, social network e intelligenza artificiale.

SEL e videogame

Affermare che i videogame insegnano empatia, competenze sociali ed emotive è una questione che sicuramente farà storcere il naso ai più. Eppure i videogiochi sanno essere veicolo di competenze prosociali in misura molto maggiore rispetto alla loro capacità di diffondere informazioni storiche e relative ad altre materie curriculari. E sì, esistono diversi studi che dimostrano l’efficacia di tale medium digitale per il social and emotional learning (SEL).

L’immedesimazione con l’avatar e con la storia non è mai passiva, al contrario il videogame guida l’individuo a porsi domande critiche attraverso cui esplorare l’identità in modo pro-attivo. Del resto sempre più spesso i videogame permettono di personalizzare il proprio avatar, proponendo minoranze identitarie fino a ora escluse dagli standard dei videogiochi prodotti e distribuiti da un editore di medio-grandi dimensioni, in genere con budget di sviluppo e marketing particolarmente elevati (i cosiddetti AAA). Ecco dunque che online il ragazzo si sente libero di essere chi nella vita quotidiana deve ancora mascherare, per ragioni di accettabilità sociale e quindi di vergogna.

L’anonimato e la distalità garantiti dal gioco possono portare il gamer a esprimersi in atteggiamenti di violenza, ma è particolarmente vero che i videogame consentono alle persone di confrontarsi con situazioni di sfida, di cooperare e di confrontarsi con altri gamers. Questo succede sia negli MMORPG (Massively Multiplayer Online Role-Playing Game, letteralmente un gioco di ruolo multigiocatore in rete di massa) sia nei forum, su discord o tra i commenti di qualche youtuber, dove gli appassionati condividono esperienze relative ai giochi testati, confrontandosi con opinioni diverse dalle proprie. Tale aspetto non può che essere di grande valore per lo sviluppo della personalità.

La scelta di essere violenti, e quindi di sbagliare, può addirittura avere un valore (relativo e mai assoluto) di formazione. Chiaramente, perché ne risulti una risposta educativa, di crescita personale, le piattaforme e gli altri giocatori devono essere in grado di condannare un qualunque gesto di odio, permettendo così all’individuo di fermarsi a riflettere e di redimersi in qualche modo. In ogni caso, è necessario che le comunità online siano attrezzate per segnalare e impedire il perpetuarsi di molestie di vario tipo. Anzi, il fatto che i gamers possano unirsi per segnalare e allontanare un hater è uno stimolo per allenare le vicendevoli competenze pro-sociali e relazionali, portando la comunità a costruire un’etica condivisa che potrebbe essere spesa anche offline. Si tratta di un altro esempio concreto di come i videogames possano diventare un incentivo per l’altruismo e la cooperazione. Suggerire ad altri giocatori strategie e siti per cheat codes (trucchi, modi per “barare”), interpretare e gestire i conflitti interpersonali, aiutare i gamers meno esperti dentro la propria gilda per raggiungere uno scopo comune, sono tutti esempi di come l’ambiente costruito dai videogame sia un laboratorio ideale per la pro-socialità.

A ogni modo è sempre bene sottolineare che costruirsi un arsenale e giocare a Call of Duty non trasforma né noi né i nostri figli in psicopatici. È sempre una base precedente di natura psichiatrica a condurre i giovani a compiere atti di violenza, altrimenti per ogni essere umano violento della storia dovremmo incolpare non tanto i videogiochi (la cui nascita è recente), ma i film, la televisione, i libri, compresi quelli sacri e le fiabe. 

Insomma, capite bene quanto sia sciocco credere ancora in un legame diretto tra uno sparatutto e l’aggressività.

L’allenamento identitario, la gestione dell’ansia e del dolore fisico

Jane McGonigal è una PhD Game Designer che nei suoi studi dimostra quanto i videogiochi siano utili per la cura. Essi aiutano ad apprendere abilità trasferibili ad altre attività quotidiane. Sono validi sostegni per la cura di problemi fisici, come le commozioni cerebrali, nonché per il miglioramento di alcuni atteggiamenti nocivi e per l’autostima. Supportano il processo decisionale, la risposta post-traumatica e la motivazione. Insomma, sono mezzi di crescita e di risposta alle crisi e non l’innesco alle stesse.

Il game play diventa una terapia di eccellenza attraverso cui il soggetto può ripensare alla propria esistenza in modo critico, modificando i suoi comportamenti tossici. Il segreto sembra quello di addestrare il cervello a pensare altrimenti a noi stessi, alla nostra condizione, agli altri, al futuro. Tale “ermeneutica curativa” elicitata dal videogioco, dalla sua struttura, conduce a una rinnovata stenia, sfoderabile in particolari momenti limite dell’esistenza.

È dimostrato che dopo una commozione cerebrale l’utilizzo dei videogiochi aiuti a rendere più tollerabili nausea e male alla testa. Normalmente si tratta di sintomi talmente invasivi da portare i soggetti ospedalizzati a desiderare il suicidio. Con l’ausilio dei videogiochi il soggetto riesce ad evadere dal dolore fisico, ad affrontare operazioni chirurgiche con minore ansia. Non è rimozione freudiana o escapismo fine a se stesso. A differenza delle droghe e dell’alcol, finito il gameplay il soggetto torna nella realtà, senza annebbiamento alcuno. È una temporanea sospensione, uno spostamento dell’attenzione, uno sfiatatoio sano. Non è possibile essere costantemente focalizzati sul problema, ci è necessario introdurre una sorta di epoché. Quando gli individui, per le condizioni in cui si trovano, non possono ricorrere ad altre strategie che da sempre mettiamo in atto per allontanarsi temporaneamente dalla situazione problematica, i videogames possono intervenire assolvendo allo stesso compito.

Interessante è il fatto che anche al di là dei videogame caratterizzati da storie particolarmente significative, ognuno può aggirare i problemi della vita reale attraverso qualunque gioco, purché ci si senta davvero immersi in esso. Non importa che sia Fornite, Candy Crash o Life is Strange, la chiave perché si generino risultati positivi nei soggetti è che il gioco sia in grado di generare il flow, cioè la cosiddetta esperienza ottimale, quando il tempo si dilata e noi ci sentiamo totalmente presi da una attività da percepire solo il piacere di essere coinvolti in essa.

Educazione alla lettura emotiva

Secondo un sondaggio le emozioni stimolate dai giochi sono felicità, sollievo, orgoglio personale, amore, vicinanza agli altri, sorpresa, curiosità, eccitazione, timore reverenziale e meraviglia, ma anche competizione, paura, ansia, odio, frustrazione. Insomma, attraverso il videogioco si può sperimentare tutta una pletora di emozioni, positive o negative, che ci allenano a sviluppare un’adeguata intelligenza emotiva, spendibile anche nella vita di tutti i giorni. È molto importante questo punto, a maggior ragione che sempre più spesso i ragazzi si trovano impreparati emotivamente, non avendo avuto modo di sviluppare tale competenza, risultando il più delle volte apatici e inabili emotivamente. Si tratta di un problema sempre più discusso anche a livello accademico, una di quelle sfide che i formatori si pongono all’interno delle aule.

La tecnologia è vista sempre più spesso come un tramite e non come un ostacolo, una strategia di eccellenza per educare i bambini alle emozioni. I videogiochi in particolare sono gli strumenti più utilizzati nelle classi aumentate, quelle che il pnrr intenderà sostenere, in grado di allenare all’empatia in maniera significativa. Con Scuola di Robotica partiremo con un progetto nazionale chiamato “Educare alla lettura”, in sinergia con biblioteche e associazioni. Lavoreremo soprattutto con le scuole situate nelle zone più marginali della penisola, dove l’abbandono scolastico è un problema concreto. L’obiettivo sarà quello di utilizzare la robotica e scratch per insegnare ad amare la lettura. Scriveremo storie di videogames, avventure grafiche, incentivando contestualmente lo sviluppo di competenze emotive (sarà necessario educare alla lettura non solo del testo, ma anche delle emozioni che il libro o il videogioco stimola). Cambieremo i finali delle storie e insegneremo a empatizzare con i personaggi. Anche la recitazione ci sarà di aiuto per calarsi nella storia, un po’ come mostra il metodo Stanislavskij.

La metodologia di integrare libri e videogiochi per trovare un quid comune è molto interessante a mio avviso. Life is Strange, I Miserabili e De Andrè pongono di fronte a una stessa questione etica: rubare perché si ha fame è da criminali? Il cantautore dice che è un delitto non farlo, ma è così?

Trovare le somiglianze e le diversità tra media alternativi, riflettere sulle conseguenze di un’azione, capire come le culture potrebbero interpretare uno stesso gesto sono tutti strumenti per allenare l’intelligenza emotiva e sociale. Si impara a nominare, a vivere le sensazioni, proprie ed altrui.

In conclusione i videogames sono in grado di aiutare i soggetti a trovare motivazioni per sopportare i momenti di crisi e per allenare a vivere insieme agli altri e a sé stessi in maniera efficace ed etica.

di Lorenza Saettone, filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons e redattrice del team Video Game Therapy®

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