Little Misfortune e The Blinding Of Isaac

Troppo spesso cadiamo nella tentazione di considerare i soli videogiochi “educativi” (i cosiddetti serious games) come fonte di insegnamento, in verità la realtà del mondo videoludico è molto diversa da quella che si aspettano i “non addetti ai lavori”. Essa comprende migliaia di titoli presentati come prodotti di intrattenimento, eppure, in grado di affrontare e trasmettere temi profondi, risvegliando nei giocatori non una conoscenza nozionistica, ma un intimo avvicinamento verso gli aspetti più delicati della nostra esistenza, coinvolgendoli in prima persona.

Un esempio recente della potenza del mezzo videoludico è Little Misfortune (Killmonday Games, 2019). Il videogioco è ambientato nel 1993 e parla di una bambina di otto anni, la piccola Misfortune (letteralmente “Sfortuna” o “Disgrazia”). Come possiamo intuire dal nome, Misfortune è una bambina non voluta, nata per caso (o disgrazia) da due genitori alle prese con gravi difficoltà personali: la madre soffre di alcolismo, è innocentemente definita da Misfortune come una “bevitrice di succhi di frutta”, e il padre è uno spacciatore di droga, nel migliore dei casi una figura assente. 

L’ambiente in cui è cresciuta Misfortune lascia, ovviamente, a desiderare. Eppure, la piccola è capace di vedere il lato migliore delle cose con la forza dell’immaginazione. Bastano un po’ di brillantini per “riparare” un vaso rotto e sono sufficienti un paio di occhi disegnati con il pennarello sul sasso che il padre lanciò verso di lei in segno di disprezzo per renderlo un giocattolo molto amato. 

Il videogioco inizia nella cameretta di Misfortune. All’improvviso ella sente una voce maschile che le promette felicità eterna nel caso in cui accetti di giocare a un gioco insieme a questo personaggio misterioso e incorporeo. Pensando di poter regalare il premio alla sua mamma nel caso in cui vincesse, la bambina accetta volentieri la sfida, e il giocatore inizierà a seguire gli indizi forniti dalla strana voce fuori campo, dando vita a un puzzle game punta-e-clicca

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Senza anticipare troppo riguardo il finale a sorpresa, nonostante il videogioco proponga diverse opzioni al giocatore durante il corso della storia, il tema di fondo di Little Misfortune è proprio la mancanza di scelta. La voce specifica sin da subito alla bambina: “Non ci sono scelte da fare, ci sono solo conseguenze” e “Non c’è niente che non vada in te, Misfortune, semplicemente la vita è ingiusta, a volte”. 

Little Misfortune abbraccia così un tema doloroso: l’impotenza dei bambini che si trovano a convivere con degli adulti in difficoltà, senza la possibilità o la volontà di chiedere aiuto per sé e per i piccoli. Bambini invisibili a chi dovrebbe vigilare sul loro benessere e sulla loro esistenza, fornendogli tutte le possibilità e le occasioni per vivere una vita ricca. L’intera esperienza richiede tra le 3 e le 5 ore di gioco e, nonostante lo stile grafico molto semplice, è consigliata a partire dai 16 anni di età, proprio per la crudezza dei temi trattati in sottofondo a un gameplay moltofacile e, in un certo qual modo, semplice accessorio alla trama principale. 

Un titolo dal tema simile, pur appartenendo a un genere videoludico molto diverso, è The Binding Of Isaac (McMillen, 2011), letteralmente, Il Sacrificio di Isacco. In The Binding of Isaac, il piccolo Isaac, di cinque anni, vive con la madre, una donna estremamente religiosa, dopo che il padre si è allontanato da casa. In preda ai sensi di colpa per la separazione dei genitori, che teme di aver causato, Isaac cerca rifugio in un mondo fantastico, che però è inquietantemente popolato da quell’immaginario religioso che, a causa della madre, ha preso il sopravvento su qualsiasi aspetto della vita del bimbo. In questo mondo, simbolicamente ambientato nella cantina di casa (sicuramente un luogo spaventoso per un bambino così piccolo), Isaac dovrà sopravvivere, difendendosi dagli spaventosi nemici tramite nient’altro che le sue lacrime. Anche in questo caso, l’età minima consigliata per i giocatori è di 16 anni. Questi due titoli, dai temi così crudi e a tratti grotteschi, non dovrebbero essere presi con leggerezza. L’intento autoriale, in entrambi i casi, è quello di utilizzare un videogioco accessibile a tutti per raccontare, indirettamente, storie fortunatamente rare ma che rispecchiano una realtà verso cui è inutile voltare le spalle e fingere di non vedere. Due potenti opere di sensibilizzazione alla portata di tutti.

Articolo di: Ambra Ferrari

PhD in Educazione nella Società Contemporanea, Ambra Ferrari si occupa di progetti di ricerca sui temi della Human Computer Interaction. Ludonarrativista ed esperta di UX, con Horizon Psytech & Games è docente di Master in Psicologia Digitale relativi al potenziamento cognitivo e l’arricchimento valoriale degli adulti tramite videogiochi commerciali. Oltre che con Laborplay, collabora anche con Video Game Therapy come autrice di recensioni psicologiche dedicate al mondo videoludico indipendente.

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